L. S. style

Soprattutto, si dovrebbe dare idealmente la parola a quei tanti che, a differenza di me, non sono tornati dai campi di sterminio, che sono stati uccisi per la sola colpa di essere nati, che non hanno tomba, che sono cenere nel vento. Salvarli dall’oblio non significa soltanto onorare un debito storico verso quei nostri concittadini di allora, ma anche aiutare gli italiani di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza verso le ingiustizie e le sofferenze che ci circondano. A non anestetizzare le coscienze, a essere più vigili, più avvertiti della responsabilità che ciascuno ha verso gli altri.


Festival! spritz

Fra il panettone di Natale e la colomba di Pasqua c’è di mezzo Sanremo. E come il panettone e la colomba, alla fine ci piace il Festival di gusto classico. Niente innovazioni strane, farciture diverse, gusti esotici. No, il buon caro vecchio Festival con tutti i crismi: il bravo presentatore, la bella valletta, le frasi “ ed ecco a voi..” e “dirige il maestro…”. Seguiamo, spesso il crollo della palpebra, i soliti siparietti triti e ritriti, le battute ormai piene di ragnatele, i finti equivoci, le finte sorprese. Ci beviamo le interviste sull’ultimo disco, sull’ultimo film e, quando c’è un ospite straniero ci domandiamo per l’ennesima volta come sia possibile che nessuno, fra conduttori e presentatori sappia spiccicare quattro paroline in croce. Spariamo a zero sull’abbigliamento dei cantanti però speriamo che quello che viene dopo sia vestito ancor peggio per dire “ma no!!! Ma come l’hanno vestita”. Ascoltiamo le canzoni e man mano ci sentiamo grandi espertoni musicali che si intendono di note calanti, di registri troppo acuti, di intonazione scorretta. Dopo questa lunga maratona, ci sarà un vincitore che per un po’ vedremo ovunque in televisione ma che poi finirà nel tritacarne mediatico. Inutile illudersi che questa formula possa cambiare, in passato sono stati fatti dei tentativi per modernizzarlo ma sono stati fallimentari perché il Festival non deve piacere, ma esiste per essere criticato anche ferocemente. Quest’anno sono sotto esame Claudio Baglioni e i cantanti over 65 che sembrano usciti dal museo di Madame Tussaud e tutti a dire che sarebbe ora di passare il testimone ai giovani, andate in pensione che è meglio! Ma bastano due note di “Piccolo grande amore” che anche il cuore dei più agguerriti freme, cerca di resistere, lancia l’ultima frecciata sul botox ma poi cede, si allaga di nostalgia e di rimpianto di quella sua maglietta fina.


Buongiorno, sono Lucia

Di solito sono gentile, per non dire gentilissima con gli operatori dei call center perché riesco a immaginarmeli lì, seduti uno accanto all’altro a fare continue telefonate a gente che è tutt’altro felice di riceverle. Quindi anche se non mi interessano le offerte e i prodotti che vogliono appiopparmi, rispondo sempre con cortesia. Lo faccio con Maria che mi chiama dall’Albania per conto di Wind, dicendole che io mi trovo bene con Tim certissima che, domani mi richiamerà la sua collega Ambra per propormi la stessa irrinunciabile offertona. Lo faccio con Stefano di Vodafone che insieme a un nuovo contratto mi sciorina una serie infinita di benefit ai quali rinuncio ringraziando. Lo faccio soprattutto con gli operatori di Sky memore della telefonata che mi fece tempo fa un certo Edoardo proponendomi per l’ennesima volta il pacchetto calcio ( non guardo il calcio), altri decoder da piazzare in tutte le stanze (ho una televisione sola), la possibilità di installare il 3D (mi viene mal di testa solo a pensarci) e che alla fine nonostante tutti i miei “no grazie”, mi ha salutato dicendo “un abbraccio”. Ma oggi è andata diversamente.
LUCIA: Pronto buongiorno sono Lucia, siccome abbiamo visto che lei paga l’energia elettrica tot al kilowatt quindi le chiedo di prendere l’ultima bolletta che ha ricevuto che la controlliamo…
IO: Mi scusi ma da parte di quale azienda chiama?
LUCIA: Glielo avrei detto se mi avesse fatto finire di parlare, chiamo da parte…
IO: Ecco allora la interrompo di nuovo. Visti i modi la saluto così non perdiamo tempo né io né lei.
Ma da domani ritorno a essere gentile con Teresa, Giovanni, Kalhed, Anna, Giorgio, Miryam, Paolo…(ad lib)


La comfort zone

Mi diverte sempre molto leggere quegli articoli “motivazionali”, di solito redatti da Vanity Fair, che dovrebbero dare entusiasmo a chi si trova in situazioni di naufragio. Di solito sentimentale. I consigli che vengono dati a piene mani, sono indescrivibilmente ingenui oppure indecentemente falsi perché propongono soluzioni improntate sul dogma “ ridi e sorridi e tutto cambierà”. Se è pur vero che non bisogna crogiolarsi nella sofferenza e fare del pianto l’unica e possibile forma di espressione, questa felicità forzata ed esibita suona davvero stonata perché ben sappiamo che quando si raccolgono i cocci di una relazione finita, di un licenziamento, di uno sfratto, far finta di niente non serve a nulla, anzi. Ma Vanity Fair insiste e incita dicendo “regalati una coppa di champagne per brindare al futuro” a chi pensa al passato con un bicchiere di Tavernello, “ mettiti l’abito più sexy che hai” a chi si sente come Maga Magò, “parti per un week end in una SPA” a chi non ha i soldi per pagare le spese condominiali, “flirta, vai al cinema, vedi gente” a chi sta guardando in loop “Pretty Woman” divorando un barattolo di Nutella. Ma il consiglio più bello che ho letto è “esci dalla tua comfort zone”. Quando il vero problema, in questi casi, è entrarci.


E' arrivato

E' arrivato. Come una cartella di Equitalia che improvvisamente ti ritrovi un giorno in portineria. È arrivato. Lui. Il temutissimo picco influenzale. E giunge il momento in cui, quando ci ritroviamo in posti affollati, in metro, in coda in posta tutti noi guardiamo con terrore il nostro vicino che tossisce o si soffia il naso. Il nostro pensiero fisso è "come alzare le difese immunitarie" e quindi vai con le arance per la vitamina c, lo yogurt per i fermenti lattici, i cereali per le fibre. Ci muniamo di sciarpe con le quali creare una concreta barriera a microbi e batteri. Ingolliamo integratori a base di ribes nigrum e Rosa canina. Arriviamo a isolare in una zona remota della casa persino l'amata prole rea di aver contratto il malanno stagionale. Ma si sa, non ci si può sottrarre al proprio destino. Mai. Nemmeno in questo caso. L'influenza non bussa, apre anzi spalanca la porta e si piazza sul tuo divano per almeno una settimana. E quindi non mi resta che dire buon picco a tutti!


É già tempo di chiacchiere

No, non di quelle che si fanno con gli amici. Sto parlando dei dolci tipici di carnevale. L'epifania nei supermercati è già finita e anche se il 6 gennaio è domani, le calze piene di cioccolatini con il carbone dolce sono già da tempo in saldo al 50%. Quindi subito sugli scaffali chiacchiere e tortelli che prestissimo però saranno rimpiazzati dalle uova di pasqua.
Il tempo vola, è vero ma noi lo stiamo forzando a brusche accelerate che bruciano il presente e di questo passo ci ritroveremo a mangiare il panettone con pezzetti di anguria al posto dei canditi a Ferragosto, sotto l'ombrellone. O forse, piu' ottimisticamente, c'è in tutti noi il desiderio bambino di non smettere mai di festeggiare, di avere sempre un pranzo speciale da preparare e un bel brindisi da fare.


PROPOSITI PER IL NUOVO ANNO

Imparare qualcosa di nuovo.
Dimenticare qualcosa che è passato
Sorridere. Anche a denti stretti.
Dire di sì
Dire di no
Niente sensi di colpa
Non lamentarsi
Fare solo le promesse che si possono mantenere
Tagliare i rami secchi
Piantare qualche seme
Alzare le spalle, ogni tanto
Girare le spalle, ogni tanto
Coltivare il bello virgola il buono, l'ironia
Non parlare male dell'anno passato
E caro 2018 comportati da signore.

 


NOI CHE IL NATALE...

NOI CHE IL NATALE...

Tra i detrattori e gli entusiasti del natale, ci siamo noi.
Quelli che a Natale sono un po' più contenti del solito perché le finestre si riempiono di luci, perché c'è un'aria più leggera, perché il panettone e il pandoro sono buoni e soprattutto perché si può festeggiare. Che ognuno decida come e con chi Ma Natale è proprio questo: la voglia di festa.
Quest'anno non ho fatto l'albero per pigrizia, lo ammetto, ma ho riempito la casa di lucine che accendo appena varco la soglia e mi fanno venir voglia di sorridere. Poi ho appeso lei, la più grande, la più bella, la più trasparente palla di Natale del mondo di vetro sottilissimo sul quale si riflettono ancora tutti i natali che ho passato quando i miei bambini erano bambini, quando la casa era piena di regali, quando c'era ancora chi non c'è più. Natale anche questo i bei ricordi e bei pensieri per il futuro che arriverà.

 

 


La famiglia allargata

La famiglia allargata e cioè quella composta da un certo numero di padri naturali o acquisiti (la parola patrigno è stata cancellata vocabolario) e da alcune madri naturali e non (la parola matrigna è invece ancora in voga) nonché da un discreto numero di figli di ogni sesso ed età (la parola figliastro va benissimo anche per i figli naturali). La famiglia allargata possiede alcune case che vanno dal monolocale all’attico di 450 mq, un numero imprecisato di mezzi di trasporto (dal triciclo al jet), una quantità imbarazzante di pigiami, calze spaiate, mutande e spazzolini. Più che in una famiglia sembra di ritrovarsi sul set del Grande Fratello, il sistema nervoso di adulti e bambini è messo a dura prova, compromessa ogni futura relazione o vincolo di qualunque tipo. Chi è stato membro di una famiglia allargata spesso sviluppa una vocazione di eremita e si ritira in preghiera sulle vette del Karakorum.


La famiglia mononucleare

La famiglia mononucleare è quella più diffusa e composta da un figlio, detto il monarca, e da due sudditi: padre e madre. Il monarca ha tutti i diritti e nessun dovere e resta tale fino ad età adulta mentre i genitori con gli anni regrediscono alla condizione di servi della gleba. Quando finalmente il figlio o la figlia abbandonano la casa paterna per formare una famiglia propria, si assiste a un progressivo ringiovanimento sia del padre che della madre: spariscono le rughe, i capelli bianchi, le borse sotto gli occhi. Senza pensarci due volte partono con il primo volo e vanno a ballare la rumba a Copacabana.